Massimo Berlingozzi 31 marzo 2021
“Non vendermi il processo. Vendimi il risultato, per favore.”
Sinceramente stanco di vedere post a base di slogan banali, che girano come un disco rotto, senza una minima traccia di pensiero critico. Proviamo a vedere, con un esempio tra i tanti, se riusciamo ad aprire gli occhi:
Qualcuno può affermare che non sia un “eccellente risultato” (pronto per essere venduto) quello dell’immagine che compare in testa all’articolo? Bene, come molti probabilmente sanno, questo dipinto non esce dalla mano di Rembrandt, ma da un’intelligenza artificiale (The Next Rembrandt) ) che ha imparato a imitare alla perfezione l’opera del grande artista.
Il problema è che la macchina non sa che cosa sta facendo, opera in modo statistico, si limita ad applicare la sua gigantesca capacità di calcolo per “trovare regolarità nascoste all’interno di un enorme set di dati” (Judea Pearl). Simulare e pensare sono due attività completamente diverse, come afferma John Searle. La macchina dispone solo di una competenza sintattica nel combinare simboli, ma non dispone di una competenza semantica indispensabile per attribuire un significato ai simboli su cui sta operando.
Pensare, secondo Searle, in quanto esperienza cosciente, vissuta dal soggetto, è quindi un’attività irriducibile a qualsiasi altra forma che non sia legata all’esperienza cosciente dell’essere umano.
Ma a qualcuno piace dire, con molta leggerezza, “buttiamo via il processo, solo il risultato conta!”. Così, già molti anni fa (nel 1996 per l’esattezza), avremmo potuto dire a Garry Kasparov: “datti all’ippica! Non m’interessa cosa hai pensato o cosa sei in grado di insegnare sugli scacchi, tutti i ragionamenti e le strategie. Roba vecchia! Solo il risultato conta! Ora c’è Deep Blue di IBM che ti ha battuto, fatti da parte ragazzo!”
Come si fa a non capire che attraverso simili banalità, noi stiamo gettando via l’essenza dell’intelligenza umana, pronti come beoti a compiacerci dei “Risultati” che produrranno le nostre macchine?