La dimensione negoziale

Massimo Berlingozzi
Pubblicato su: Leadership & Management Magazine  –   settembre 2018
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Dappertutto gli uomini non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa a vicenda
 Fёdor Dostoevskij  “Il giocatore

 

La negoziazione è un’arte molto complessa. La parola arte non è scelta a caso per definire un’attività umana sulla quale sono stati scritti centinaia di libri, che hanno cercato ispirazione e risposte attraverso discipline anche molto diverse tra loro: psicologia, antropologia, sociologia, economia, scienze della politica e filosofia. Senza dimenticare che, caso unico nell’ambito delle relazioni umane, gli studi sulla negoziazione hanno potuto beneficiare di una trasposizione formale nel linguaggio matematico della “Teoria dei giochi” (Von Neumann e Morgenstern 1944). In questo articolo mi limiterò a cercare di definire, nel modo più semplice e chiaro possibile,  l’essenza della “dimensione negoziale”. È un aspetto fondamentale, perché l’esperienza di molti anni di formazione in questo campo mi ha insegnato che anche le migliori tecniche, strategie e competenze, possono fallire in assenza di una piena consapevolezza riguardo al “senso” della dimensione negoziale.

C’è una famosa scena in “Gioventù bruciata”, il film del 1955 che ha consacrato il mito di James Dean, nella quale due giovani si sfidano nel pericoloso “gioco del pollo”. Una prova che consiste in una gara tra due auto lanciate a forte velocità, per vedere chi avrà il coraggio di gettarsi fuori dall’abitacolo per ultimo, prima che l’auto precipiti nello strapiombo. Nel film in questione la sfida si conclude tragicamente, perché uno dei due contendenti rimane impigliato nella maniglia dello sportello e precipita in mare. Ma l’esito del gioco, senza questo incidente, avrebbe dovuto essere diverso e stabilire dunque, in modo inequivocabile, chi vince (colui che si lancia dopo) e chi perde: “il pollo” (colui che si lancia prima). Il significato metaforico del gioco è fin troppo chiaro: alzare il livello della sfida restringe le possibilità del confronto fino a indirizzarle in un vicolo cieco, nel quale alla fine non si potrà che stabilire chi ha vinto e chi ha perso. Paradossalmente, nel pericoloso gioco di sfida rappresentato nel film, esiste una possibilità in cui entrambi i contendenti potrebbero risultare “vincenti”: la situazione nella quale nessuno dei due cede ed entrambi muoiono. Nell’universo simbolico delle bande giovanili protagoniste del film, questo equivarrebbe ad assurgere alla figura di “eroe”. Soluzione evidentemente folle, ma che a livello metaforico rivela la sua natura: quella dell’“etica della convinzione” che Max Weber contrapponeva all’“etica della responsabilità”. Un’etica quindi mai disposta a scendere a mediazioni e compromessi pur di mantenere integri e inalterati i suoi principi (anche a fronte di risultati catastrofici).

Il gioco di sfida del film rivela, seppure nelle sue forme azzardate, il tentativo di risolvere una disputa, un conflitto, una divergenza. Questo intento è anche uno dei requisiti essenziali affinché un confronto tra due parti venga definito negoziale. Quello che rifiutano i protagonisti del film, ma anche molti dei soggetti coinvolti in situazioni reali, è accettare pienamente la seconda condizione, che rappresenta l’altro requisito necessario per definire le forme di un confronto come negoziali. Questa seconda condizione è il “vincolo di interdipendenza”, situazione in cui l’obiettivo di ognuna delle parti può essere raggiunto solo attraverso l’altra: nessuna delle parti coinvolte nell’interazione dispone di tutto il potere, l’azione di ognuna delle parti in gioco influenza e dipende dall’azione dell’altra. Nella dimensione negoziale siamo dunque chiamati a dover “influenzare” e “dipendere” nello stesso momento. Diventare pienamente consapevoli di cosa significa agire all’interno dei vincoli di questa precisa condizione, è l’elemento di maggiore complessità e difficoltà della dimensione negoziale. La negoziazione da questo punto di vista può essere considerata come uno dei frutti più alti della nostra civiltà, l’unico strumento di confronto sociale capace di risolvere i conflitti generando valore. Per millenni gli esseri umani hanno risolto i loro confitti (e continuano a farlo) attraverso la lotta, lo scontro fisico, la guerra, accettando di sottomettersi (dipendere) solo se sconfitti. Per la nostra mente quindi è estremamente difficile far accadere e coesistere queste due forme di relazione all’interno della medesima situazione: imporre/accettare; affermare/concedere; influenzare/dipendere.

La consapevolezza di questo limite della natura umana era ben chiara a un geniale pedagogista, Loris Malaguzzi, creatore a partire dagli anni 60’ di un modello di scuole per l’infanzia divenute molto note anche all’estero sotto il nome di “Reggio Emilia Approach”. Per affrontare questa difficoltà aveva ideato un gioco molto efficace: stendeva sul pavimento un grande foglio che conteneva la sagoma di un animale e chiedeva ai bambini di ricalcare il bordo di quella sagoma con una matita colorata a loro disposizione. La matita di ognuno di loro era però legata alle matite di tutti gli altri mediante una fitta ragnatela di sottili cordicelle. Ogni singolo bambino si accorgeva a questo punto che, in alcune fasi poteva avanzare e in che altri momenti invece era necessario fermarsi per far procedere qualcun altro, fino a quando, diminuita la tensione della corda, poteva nuovamente spingere in avanti la sua matita. Non era necessaria dunque nessuna elaborazione cognitiva, i bambini sperimentavano direttamente sul loro corpo, fisicamente, questo strano ossimoro: per poter procedere devi fermarti.

Ritornando al linguaggio della teoria dei giochi, sappiamo quindi che possiamo contrapporre al modello “io vinco tu perdi” (giochi a somma zero), la possibilità di far evolvere la relazione negoziale fino alla possibilità di poter “vincere insieme” (giochi a somma diversa da zero), ma lasciamo alle parole di Paul Watzlawick il compito di mostrarci questa semplice verità, così difficile da accettare:

Perché è così difficile rendersi conto che la vita è un gioco a somma diversa da zero? Che si può vincere insieme non appena si smetta di essere ossessionati dall’idea di dover battere il partner per non esserne battuti? E che (cosa del tutto inconcepibile per lo scaltro giocatore a somma zero) si può perfino vivere in armonia con l’avversario decisivo, la vita?   

 

Bibliografia:
Rumiati, D. Pietroni                         La negoziazione                                     Raffaello Cortina,  Milano  2001
Weber                                    Il politeismo dei valori                                     Morcelliana,  Brescia 2010
Watzlawick                 Istruzioni per rendersi infelici                         Feltrinelli,  Milano 1997

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