Il futuro del lavoro? Ibrido!

Massimo Berlingozzi – pubblicato su Harvard Business Review Italia luglio 2021

Quando, dalle lontane terre del Nuovo Galles del Sud, il primo esemplare imbalsamato di ornitorinco arrivò in Inghilterra, gli scienziati di allora pensarono allo scherzo di un tassidermista. Correva l’anno 1798, e fu necessario attendere fino al 1884 per arrivare alla prova capace di mettere d’accordo una schiera di contrariati naturalisti, incapaci di accettare la natura, ai loro occhi bizzarra, di un mammifero con il becco da uccello, che allattava i cuccioli e deponeva le uova.

L’ornitorinco non è un ibrido in senso biologico, ma le sue caratteristiche e l’atteggiamento stupefatto di chi si trovò a studiarlo, si configurano come una perfetta metafora in grado di spiegarci, meglio di qualsiasi ragionamento, la difficoltà di accettare il reale, quando la coesistenza degli opposti si pone come minaccia a identità consolidate.

Il principio identitario genera sicurezza, diversamente il concetto di ibrido ci ha sempre messo in crisi (neppure l’etimologia ci aiuta, poiché è incerta); non dobbiamo dunque meravigliarci se un futuro del lavoro privo di una identità precisa ci spaventa. La remotizzazione del lavoro imposta dalla crisi pandemica, che ha coinvolto milioni di persone, è stata per molti versi un’occasione straordinaria. Accelerando processi, che avrebbero richiesto molti anni per assumere tali dimensioni, ci ha permesso di metterci alla finestra e osservare un pezzo di futuro: una trasformazione antropologica del mondo del lavoro paragonabile a quella avvenuta con l’avvento dell’industrializzazione e il conseguente abbandono delle campagne. Così come allora sarebbe stato ingenuo descrivere quella trasformazione come un semplice spostamento di persone, quando invece stava nascendo una nuova civiltà, oggi è impensabile immaginare di aver potuto infrangere elementi essenziali per la definizione dell’identità del lavoro, come lo sono i concetti di spazio e di tempo, senza aver messo in moto cambiamenti così profondi che solo il tempo ci consentirà di comprendere nella loro vera portata.

Ma di fronte a tutto questo cosa è accaduto?  A seguito di previsioni che hanno cercato di definire, attraverso la logica dei numeri, le dimensioni possibili di questo fenomeno, si è sviluppato un dibattito che ha visto, come spesso accade nel caso di eventi complessi e di forte impatto emotivo, la polarizzazione di due schieramenti contrapposti. Chi vede nella “dimensione agile” del lavoro un processo di vera innovazione, accusa coloro che vogliono riportare i lavoratori all’interno delle aziende di ostacolare il cambiamento, fino a spingersi a parlare di restaurazione di vecchie logiche di potere.  Chi invece crede che il lavoro non possa prescindere da un’organizzazione caratterizzata da persone che si relazionano insieme nel medesimo luogo, considera i sostenitori dello smart working idealisti, sognatori, oppure, nel migliore dei casi, osservatori superficiali della complessità del lavoro. 

A onor del vero, all’interno delle aziende, c’è chi, accettando pragmaticamente i cambiamenti in atto, ha iniziato a lavorare per capire come poter organizzare una struttura ibrida del lavoro. Ma se nel caso delle posizioni precedenti il rischio è quello di peccare di ideologia, in questo caso il rischio è di aggredire il fenomeno limitandosi alla sola dimensione organizzativa, come se il valore del lavoro si riducesse nella mera efficienza del suo funzionamento. La vera sfida riguarda le persone. La dimensione ibrida del lavoro genera grandi opportunità in termini di “work life balance”, ma difficilmente riusciremo a creare vero benessere se non saremo in grado di comprendere l’evoluzione in atto. Se vogliamo che questo avvenga, è necessario abbandonare gli steccati ideologici e non concentrarsi solo sull’efficienza dei processi, perché le persone non funzionano, vivono. L’obiettivo è costruire una “dimensione di senso” in grado di conferire una nuova identità all’evoluzione delle caratteristiche del lavoro futuro, e in questo la formazione può giocare un ruolo importante.

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