EOLO, cronaca di un’avventura imprenditoriale

Intervista a Luca Spada – pubblicata su Harvard Business Review Italia ottobre 2020

La storia di un’avventura imprenditoriale ha origini spesso molto lontane, quella che andremo a scoprire oggi obbedisce a questa regola, ma le sue radici, come accade per alcune piante, affondano solo in parte nel terreno, perché una parte di esse cerca nell’aria il proprio nutrimento. L’incontro tra quanto c’è di più antico, il territorio, e qualcosa di molto più moderno etereo e impalpabile, ma che costituisce la nervatura della rivoluzione digitale, sono lo sfondo della storia di Luca Spada e dell’azienda da lui fondata, non a caso chiamata Eolo.

Buongiorno Luca, oggi vorremmo ripercorrere con te quella che a noi è sembrata, fin dal primo momento in cui abbiamo iniziato a lavorare insieme, una straordinaria avventura imprenditoriale, è sempre affascinante capire come tutto è cominciato:

È accaduto tutto molto presto, quando avevo otto anni ho cominciato a rompere le scatole a mio padre perché mi comprasse un computer, era l’epoca del Commodore 64, da lì è partita la mia passione per l’informatica. Nel giro di pochi mesi, stanco dei videogiochi, ho deciso di metterci le mani per capire come funzionava. Così a nove anni ho iniziato a studiare il Basic e altri linguaggi di programmazione.

Ma qualcuno ti ha insegnato?

No, sono sempre stato un autodidatta. Vivevo a Malgesso, un paesino di seicento anime, per procurarmi l’unica rivista d’informatica degna di questo nome dovevo farmi quattro chilometri in bicicletta, conteneva i corsi di programmazione, ma dal momento che non esistevano ancora i floppy disk dovevo riscrivermi a mano tutte le istruzioni in codice macchina. Una palestra formidabile.

E poi?

Nel 1984, io avevo undici anni, arrivarono gli accoppiatori acustici, i “nonni” dei modem. Ne comprai uno con i soldi guadagnati scrivendo programmi che vendevo sottobanco a una software house. Aveva la sagoma femmina della cornetta, l’appoggiavi e facevi il numero di un altro disperato con lo stesso congegno, si dialogava alla folgorante velocità di 300 baud, qualcosa come un millesimo di megabit, se scrivevi ciao troppo velocemente era già un problema. Si trattava però di un passo fondamentale, la prima possibilità di far dialogare due computer fra di loro.  

Tutto questo era ancora poco più che un gioco?

Si certo, non poteva essere altrimenti per un ragazzino di undici anni, ma da lì al lavoro mancava veramente poco. In quel periodo infatti nascevano le prime banche dati in grado di fornire servizi informatici. Sono stato dapprima utente, per un paio di anni, poi ho deciso di farne una mia. Ho fatto scavare 200 metri di strada  dalla Telecom per farmi portare un cavo con 100 linee, una cosa mai vista nel mio paese, e nella cantina di casa è nata la mia banca dati. La prima vera esperienza di quello che poi avrei trasformato in un business.

Il periodo di cui ci hai parlato coincide più o meno con gli anni delle scuole medie e superiori, poi hai fatto studi specialistici in questo settore all’università?

Si, dopo il liceo mi sono iscritto a Ingegneria delle Telecomunicazioni al Politecnico di Milano. La vera svolta però è arrivata l’anno successivo quando ho deciso di partire per gli Stati Uniti,  dove ho avuto la possibilità di testare per la prima volta internet e di capire che stava nascendo qualcosa di straordinario, che avrebbe cambiato tutto. Tornai in Italia e decisi di convertire la mia banca dati in un’attività professionale.

Questo in che anno è avvenuto?

Era settembre del 1994, data di nascita di SkyLink Srl, il secondo Internet Service Provider italiano, il primo faceva parte del gruppo Olivetti. Capii presto però che la crescita richiedeva investimenti più solidi, così trovai una società, si chiamava I.net, che aveva soci industriali e un progetto chiaro per vendere internet alle imprese, mi affiliai a loro con una forma di franchising. L’attività richiedeva un impegno a tempo pieno, così decisi di abbandonare l’università. Ho dovuto rinunciare alla laurea, ma non mi sono mai pentito di questa scelta perché certi treni passano una sola volta nella vita.

L’inizio della tua avventura imprenditoriale?

Si certo, SkyLink nel frattempo era cresciuta e io ero diventato partner di I.net. Dopo la sua quotazione in borsa ho fondato NGI, per fornire internet al mercato residenziale, che allora significava comprare i cavi dalla Telecom e installare l’ADSL.

Quando ti è venuta l’idea dei ponti radio?

Con la diffusione delle connessioni cominciava a essere sempre più evidente il problema del digital divide, era impossibile servire i clienti dei piccoli centri per mancanza di copertura. Poi nel 2006 è arrivata la svolta: il Wi Fi, fino ad allora utilizzabile solo all’interno delle abitazioni, venne liberalizzato. Fu allora che riuscii a trovare un’azienda israeliana che faceva ponti radio per uso militare, e decisi di sperimentarne uno. Collegai il tetto di casa mia con il Monte del Campo dei Fiori e un’azienda di Varese raggiunta dalla ADSL. Funzionò tutto molto bene. Decisi allora di estendere il servizio ai residenti della mia zona e mi resi conto che era come portare l’acqua nel deserto, da un giorno all’altro passavano da navigare a 56 K a 10 megabit.

Era nato Eolo?

Si, perché allora Eolo era solo il nome di quel servizio, in un secondo tempo lo è diventato di tutta l’azienda. A partire da quel momento abbiamo vissuto una stagione entusiasmante, io stesso ritirai fuori la mia imbragatura d’arrampicata  per poter salire sui tralicci e montare i ponti radio.

Quindi a partire da quella fase c’era già tutto, almeno in embrione, dell’azienda attuale?

Quello che è accaduto dopo sono alcuni importanti passaggi societari che ci hanno portato alla situazione attuale. L’acquisizione nel 2008 di I.net, di cui ero partner, da parte di British Telecom, e le vicende che ci hanno poi portato a riacquisire la proprietà dell’azienda attraverso un’operazione di management buy-out insieme al mio socio attuale Rinaldo Ballerio. Da allora  abbiamo messo le nostre radici a Busto Arsizio e consolidato il valore della nostra mission: fornire servizi di internet a banda larga nelle zone dove non esisteva copertura di rete.

Cosa cerchi nei tuoi collaboratori, qual è la tua idea della leadership e chi ti ha ispirato?

Direi persone affamate, come diceva Steve Jobs, per quanto riguarda la passione. Poi non posso non citare un’altra persona conosciuta sui libri di grande ispirazione, Adriano Olivetti. Condivido in questo caso la ricerca di valori importanti, come: l’equilibrio, l’integrità, la costanza d’impegno, l’affidabilità e  la capacità di comunicare idee chiare, concrete, realizzabili.

Tu sei anche uno sportivo, ami gli sport di resistenza, la corsa in montagna.

Certo, e lo ritengo un aspetto fondamentale. Tutti i giorni ho uno spazio dedicato all’allenamento, se non lo facessi non avrei mai l’energia e la lucidità mentale per portare avanti il mio lavoro. Penso anche, al di là  dello sport, che le persone attente a curare la qualità della loro vita, impegnate a perseguirla con una certa disciplina, si avvicinino più facilmente ai valori di cui stavamo parlando.

Hai un sogno o un ulteriore progetto per il futuro?

Il mio sogno è di completare il progetto: la rete in tutta Italia. Poi sarebbe bello conferire quello che abbiamo creato in una rete di respiro nazionale, anche pubblica. In un paese migliore Eolo non sarebbe dovuta esistere, il nostro progetto avrebbero dovuto realizzarlo la Telecom o lo Stato, così come le reti idrauliche o quelle elettriche che raggiungono anche i paesini di montagna. Invece lo abbiamo dovuto fare noi. Ma alla fine questa rete, che permette l’accesso a internet a un milione e mezzo di persone, è bene che confluisca in un asset nazionale. A quel punto mi sentirò realizzato al cento per cento e potrò tirare i remi in barca.

C’è quindi il giusto orgoglio per una impresa di grande valore sociale?

È chiaro che per noi è anche un business e che guadagniamo dei soldi, ma io sento molto forte questo impegno, che a volte significa anche estendere la rete in situazioni poco vantaggiose dal punto di vista economico. Siamo ripagati da una quantità di testimonianze di famiglie che ci ringraziano perché con la rete hanno potuto portare avanti il lavoro, gli studi e restare in contatto con i loro affetti.

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