Dall’errore all’errare: per una leadership sostenibile

Massimo Berlingozzi: pubblicato su Harvard Review Italia dicembre 2020

Ha origine tra i banchi di scuola un’esperienza comune a tutte le persone che lavorano, che possiamo riassumere come “cultura dell’errore”. Gli errori, intesi come deviazioni dal percorso stabilito, dalla regola prevista o dal comportamento auspicato, a scuola venivano puntualmente segnalati, quelli gravi con la “penna blu”. Chi di noi può affermare di non essere mai stato vittima della stessa logica in situazioni di lavoro?

L’idea di deviare, di abbandonare il percorso tracciato, è implicita nel significato della parola errore, che deriva da errare: vagare a caso, senza una meta. Condizione giudicata negativamente all’interno di un mondo di solide certezze e dai confini ben saldi. Ma vagare nella ricerca di una nuova traccia, esplorare, valutare percorsi alternativi, sono idee che assumono tutt’altro significato in un contesto segnato da grandi mutamenti e inevitabili incertezze: lo scenario che molti hanno descritto immaginando il mondo del lavoro post crisi epidemica.

Per questa ragione ci siamo chiesti se il famoso detto “errare humanum est” non possa essere inteso in un senso più ampio, quello mirabilmente sintetizzato da Edward De Bono nella sua definizione di pensiero laterale: Il pensiero verticale si mette in moto solamente se esiste una direzione in cui muoversi, il pensiero laterale si mette in moto allo scopo di generare una direzione.”

“Generare una direzione” significa assumersi la responsabilità di tracciare un orizzonte di senso all’interno di uno scenario caratterizzato da grandi incertezze, e la formazione può giocare un ruolo significativo a riguardo. Durante la fase più acuta del primo lockdown abbiamo cercato di rispondere al disagio di molti lavoratori attraverso una serie di iniziative on-line intitolate “Trasformare la distanza in relazione”. Ma di fronte a una prospettiva che assume i contorni di una trasformazione permanente, (l’osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano che stimava in 570.000 i lavoratori in remoto, valuta in più di 5 milioni i lavoratori che continueranno ad operare a distanza a fine pandemia) è necessario concepire un progetto più ampio, capace di cogliere l’essenza di cambiamenti che assumono dimensioni epocali.

È attorno all’idea di “leadership sostenibile” che abbiamo iniziato a progettare e promuovere una serie di percorsi formativi finalizzati a sostenere e sviluppare un insieme di competenze che riteniamo strategiche per il futuro che ci attende. Per troppo tempo una visione stereotipata della leadership ha puntato a restringere questa competenza alle sole posizioni apicali, un’idea troppo selettiva tesa a cercare di oggettivare questa dimensione nelle caratteristiche ideali del leader. I processi di trasformazione a cui stiamo assistendo richiederanno invece di saper di sviluppare doti d’indipendenza, self-management, auto-organizzazione e autonomia decisionale a tutti i livelli, mantenendo nello stesso tempo una forte capacità d’integrazione e di riconoscimento attorno a un insieme di valori condivisi. L’idea di leadership sostenibile vive all’interno di un contesto di responsabilità diffusa, un’etica della responsabilità in grado di permeare l’insieme dell’organizzazione attraverso pratiche coerenti in fatto di comunicazione.

In sintonia con una rinnovata sensibilità ecologica che vede un numero sempre maggiore di persone, organizzazioni e istituzioni impegnate nella costruzione di un futuro sostenibile, anche nelle aziende deve farsi strada un pensiero capace di guardare alla complessità dell’organizzazione come alla struttura di qualunque sistema presente in natura. Alla base del concetto di sostenibilità c’è la capacità di prosperare in equilibrio nel tempo con l’ambiente circostante, un passaggio che può condurci dall’azienda che funziona all’azienda che vive.

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