Addio alle armi

Massimo Berlingozzi. – pubblicato su Harvard Business Review Italia settembre 2021

La capacità di saper gestire con efficacia ed equilibrio situazioni conflittuali è una competenza preziosa per chi ha responsabilità manageriali. La gestione di collaboratori implica da sempre la possibilità di trovarsi ad affrontare situazioni di questo tipo, ma per chi segue il mondo della formazione è importante chiedersi se la situazione attuale non richieda un’attenzione particolare a riguardo.

Il mondo sta vivendo, ormai da quasi due anni, uno scenario che verrà studiato e ricordato per moltissimo tempo. Al quadro d’incertezza generato dalla pandemia si sono aggiunti i più recenti sviluppi legati alle nuove disposizioni volte a regolare il ritorno al lavoro in presenza.  Non è questa la sede per entrare nel merito di questi problemi ma, dovendo affrontare il tema del conflitto, non è possibile fare a meno di riflettere sulle forti tensioni che si sono create in molti luoghi di lavoro e sulla radicalizzazione di posizioni poco disposte a dialogare fra loro. La capacità di gestire i conflitti è una competenza e, come tale, può essere acquisita. È un obiettivo importante per chi dovrà gestire situazioni, inevitabilmente complesse, nei prossimi mesi, e la formazione può fornire un efficace supporto in questa direzione.

Il primo passo consiste nel liberarsi di un antico retaggio, intimamente legato all’evoluzione della nostra specie, che ci porta a interpretare il conflitto come una battaglia dove o si vince o si perde. Questa visione del conflitto genera una risposta automatica del nostro organismo, descritta da Bradford Cannon ai primi del 900, definita “attacco o fuga” (fight or flight). L’energia prodotta da tale risposta svolge un ruolo fondamentale quando è in gioco la sopravvivenza, si rivela invece del tutto disfunzionale quando viene immessa nel contesto di una dinamica sociale. Lasciarsi coinvolgere in una sfida al “si vince o si perde” esclude la possibilità di una trasformazione del conflitto orientata al proseguimento della relazione, perché chiaramente sia la fuga che l’attacco, nella loro essenza, non mirano a questo risultato. La possibilità di gestire strategicamente le dinamiche conflittuali parte, dunque, da questo primo elemento di consapevolezza, che aiuta anche a superare convinzioni e stereotipi, molto radicati e prevalentemente negativi, che da sempre accompagnano il tema dei conflitti.

Un secondo importante elemento di consapevolezza, che ancor più diverge dal senso comune, consiste nell’abbandonare l’illusione di poter stabilire con certezza l’origine del conflitto, per poter dimostrare chi ha ragione e chi ha torto. Accade infatti, sia nelle piccole dispute che nelle grandi contese internazionali, che i protagonisti del conflitto non neghino la realtà della loro divergenza, salvo definirsi solamente “l’effetto”, perché la “causa”, il motivo per cui sono costretti a litigare, dipende dall’altro. Se i due contendenti si irrigidiscono su questa posizione, e non sono disposti a cambiare la loro visione del conflitto, non si potrà che assistere a un ulteriore inasprimento dello scontro. È necessario, quindi, abbandonare l’idea di potersi ricavare un vantaggio stabilendo la causa originaria del conflitto, perché all’interno di qualsiasi relazione continuativa chiunque è sempre capace di poter attingere a un “prima”, e quando questo non è possibile, come è realmente avvenuto in molte vicende umane, inventarlo.

In sintesi, ci troviamo di fronte a un deficit di consapevolezza, dovuto alla difficoltà di accettare la natura indubbiamente complessa, e per certi versi contro-intuitiva, della comunicazione. Proprio nel conflitto la comunicazione rivela in modo quanto mai esplicito la sua natura sistemica (circolare e ricorsiva), che porta a superare la visione lineare causa-effetto, per approdare a uno scenario nel quale le persone coinvolte sono unite da un vincolo imprescindibile di interdipendenza.

L’aspetto più importante per risolvere i conflitti, per trasformarli in una dimensione, magari sofferta, ma intenzionalmente costruttiva, è rappresentato quindi da una profonda consapevolezza della dinamica relazionale che li caratterizza. Affermare questo non significa certo sottovalutare l’intrinseca difficoltà del metodo. Per millenni gli esseri umani hanno risolto i loro confitti (e continuano a farlo) attraverso la lotta, lo scontro fisico, la guerra, accettando di concedere spazi agli avversari solo se sconfitti. Superare questo scenario è possibile, sviluppando un’adeguata competenza, ma soprattutto decidendo di “abbandonare le armi” per poter dialogare sostenuti da una rinnovata consapevolezza.

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